Considerazioni sulla gestione della comunicazione di crisi durante l’emergenza coronavirus

L’emergenza sanitaria sarà ricordata come una delle pagine più dolorose dell’intera storia del genere umano. Siamo stati sommersi da un’ondata emozionale costante, fatta di paura, smarrimento, incertezza, speranza, rabbia, voglia di ricominciare. In questo quadro, la gente ha dovuto fare i conti con un “overdose” di informazioni, di appuntamenti televisivi, di commenti, di visioni diverse. Un rituale giornaliero, alla ricerca di punti fermi, di certezze, di volti che potessero rassicurare tra quelle quattro mura sempre più distanti dalle città deserte.

Un periodo che – da professionisti del settore della comunicazione di crisi – ci ha portati a riflettere sul ruolo della comunicazione in una fase così delicata e sulla centralità dei media in uno scenario pandemico in cui ogni fake-news aveva un peso specifico triplo – se non quadruplo – rispetto alla normalità.

Questi alcuni spunti che ci sono venuti in mente:

 

Il ruolo del portavoce sui media

Nella comunicazione di crisi, il ruolo della spokesperson (o portavoce) è di fondamentale importanza. Spesso, la scelta stessa del portavoce è un “messaggio” ancor prima che lui parli. Se scegli l’amministratore delegato, in certe situazioni, significa che l’azienda è completamente focalizzata sulla vicenda e sta lavorando per venirne a capo con il massimo impegno. In generale, nei momenti di crisi bisogna ridurre al minimo le figure che parlano con i media. Deve essere solo una, o al massimo due (in base alle competenze), con rispettivo backup. E la narrazione deve essere coerente rispetto a tutti gli stakeholder con cui si comunica.

Durante il lockdown, la presenza eccessiva di figure – tra governo, comitato scientifico e protezione civile – che giornalmente rilasciavano dichiarazioni ai media, generava un flusso informativo confuso e disorientante. E a questo si aggiungeva sovente le “voci” dei virologi, spesso in disaccordo tra loro, per rendere la complessità ancora più complessa. Senza contare l’OMS, per cui un giorno la mascherina era necessaria e il giorno dopo no.

 

Messaggi coerenti

Durante la solita conferenza stampa delle 18.00, la popolazione veniva informata sull’andamento dell’epidemia. Scelta giusta quella di riunire attorno al tavolo la Protezione Civile e il Comitato Scientifico per aggiornare i media in base alle specifiche competenze e rispondere alle domande. Scelta meno efficace quella di rilasciare – spesso anche il giorno dopo (come nel caso di Borrelli) – interviste discordanti rispetto ai messaggi comunicati il giorno precedente. Scelta ancor meno efficace quella di permettere a ogni membro del comitato scientifico di parlare con la stampa, perché spesso alcuni messaggi venivano “decontestualizzati”, rispetto alla “narrazione” del comitato scientifico.

Per mantenere la coerenza dei messaggi, tenendo conto dei diversi stakeholder coinvolti, inoltre, avrebbe sempre senso ragionare su una “narrazione” unica e in seguito declinare la storia scegliendo lo strumento, il timing e il messaging che ci permette di raggiungere i nostri obiettivi di comunicazione.

 

Ruolo dei media

Inoltre, abbiamo assistito ad un cambiamento nella media consumption da parte del pubblico: un boom delle fonti di informazione autorevoli, in contrasto con i trend del normale consumo dei media. I dati rilavati da Auditel (rielaborazione di Confindustria Radio Televisioni) per le prime tre settimane di marzo hanno registrato un’impennata d’ascolto dei TG, con un aumento del +29% per i nazionali e del +42% per quelli regionali. Ciò a riprova del fatto che, in un momento caratterizzato da incertezza e confusione informativa, le fonti d’informazione tradizionale sono ancora percepite come maggiormente autorevoli e dunque affidabili da parte del pubblico.

 

È cresciuta anche la fruizione di notizie sul web provenienti da fonti classificabili come tradizionali i siti web dei quotidiani e delle agenzie stampa. Il picco del mese di marzo, quando la “notizia covid” era all’apice della sua ascesa, si è temperato ad aprile, probabilmente dovuto all’assuefazione da parte del pubblico e all’affievolirsi del “binge eating” compulsivo di notizie riguardo al coronavirus. Ciononostante, i numeri sono nettamente in crescita. Come registra Audiweb, Ansa ha raddoppiato i suoi utenti rispetto a gennaio (+95%), ma cala del 23% su marzo, mentre Il Sole 24 Ore registra +166% su gennaio, ma un -14% su marzo.

 

Il valore delle redazioni e l’importanza del giornalismo di qualità sono tornate a essere un elemento cruciale. Il proliferare incontrollato – attraverso i social – di notizie false, che si diffondono grazie al “potere” di influencing di un determinato utente – sempre meno frutto di autorevolezza e sempre più legato alla dimensione dell’audience – ha riportato la gente verso porti più sicuri, verso luoghi dove si è certi di leggere qualcosa che trova riscontro nella realtà. I media, appunto. Le redazioni si prendono la responsabilità di quello che scrivono e il buon giornalismo verifica sempre i fatti prima di riportarli.

 

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