Comunicazione e Brand activism: quando la CSR alza lo sguardo

Partiamo da due constatazioni.

1 – Ogni anno, il Center of Public Relations della USC Anneberg School for Communication and Journalism sceglie di studiare un argomento o una tendenza rilevante per i professionisti di quella che viene definito “la professione più dinamica del mondo”, quella del comunicatore. Per il 2020, è stato scelto l’attivismo.

2 – Secondo l’Edelmann Trust Barometer 2020, 85% dei consumatori afferma di aver bisogno di avere fiducia nel fatto che il brand faccia ciò che è giusto.

Il concetto di brand activism non è nuovo, basti pensare che Philip Kotler, il padre del marketing moderno, pubblicava nel 2018 con Christian Sarkar “Brand activism: from purpose to action” (edizione italiana in uscita a settembre 2020). Ma l’emergenza coronavirus ha definitivamente chiarito che l’impegno delle aziende non può concentrarsi solo sul versante del miglioramento dei risultati economici.

Afferma Kotler: “Brand Activism consists of business’ efforts to promote, impede, or direct social, political, economic, and/or environmental reform or stasis with the desire to promote or impede improvements in society (“The Case for Brand Activism” – A Discussion with Philip Kotler and Christian Sarkar).

 

Dalla CSR al brand activism: un cambio di prospettiva

 

Ci troviamo a vivere la naturale evoluzione di quella che è stata la stagione della CSR. La corporate social responsibility, infatti, è ora chiamata ad alzare lo sguardo, assumersi maggiori responsabilità anche in ambito sociale e così partecipare al raggiungimento del bene comune. E cos’è il bene comune se non “ciò che è giusto”?

CSR in un primo momento ha significato limitare l’impatto dell’azienda sull’ambiente, sulla collettività, ma oggi, complice la crescente sfiducia nell’establishment politico e istituzionale, significa scendere in campo e “attivarsi” per affrontare problematiche gravi e urgenti che investiranno la comunità nel medio lungo periodo. I brand sono chiamati però a confrontarsi con un attivismo nuovo, reso più “democratico” e urgente dalla digitalizzazione e dalla tangibilità dei problemi ambientali, grazie soprattutto al ruolo dei social media. Tutti possono nella propria quotidianità impegnarsi attivamente per costruire un mondo migliore. E, comunicando, mobilitare al cambiamento amici, aziende, istituzioni.

Proprio per questo, il Center of Public Relations della USC Anneberg School for Communication, che l’anno scorso aveva dedicato il proprio Global Communication Report al futuro dei media fra etica e tecnologia, mette in conversazione attivismo e comunicazione.

Il 2020 Global Communication Report “New Activism”, esplorando differenze e somiglianze fra attivisti e professionisti della comunicazione, esamina come e in che termini il loro rapporto avrà un impatto sul futuro. Perché, come sottolinea Fred Cook, Direttore del USC Annenberg Center for PR, “crediamo che il Nuovo Attivismo rappresenti l’opportunità unica, per coloro che promuovono i marchi, di lavorare con coloro che promuovono cause, al fine di risolvere problemi che tutti noi dovremo affrontare”

 

PR, brand e attivisti: una relazione complicata ma con del potenziale

 

Quasi due terzi di coloro che lavorano nella comunicazione prevedono che l’influenza dell’attivismo aumenterà nel prossimo futuro. Una tendenza che risulta ancora più marcata al di fuori degli Stati Uniti (74% di risposte affermative da parte dei comunicatori extra USA contro il 60% intra USA).


2020 Global Communication Report “New Activism”, USC Anneberg School for Communication and Journalism

 

Questo trend potrebbe costituire una crescente minaccia per le aziende che hanno processi o pratiche in contrasto con le posizioni che questi gruppi rappresentano. Ma offre anche una grande opportunità per i brand e i comunicatori che si sono impegnati a collocare il purpose al centro delle loro comunicazioni. L’emergenza COVID-19 ha insegnato che i responsabili delle pubbliche relazioni orientati al futuro devono essere preparati a gestire eventi imprevisti e questioni controverse, ben al di fuori delle loro zone di comfort. Avere chiaro il purpose della propria azienda assume un’importanza ancora maggiore poiché esso diventa la bussola da utilizzare per navigare nell’incertezza. Una via di maggior successo, suggerisce il Report, è proprio quello di affidarsi ai consigli degli attivisti, cioè degli esperti, che sono ansiosi di entrare in partnership con chi può operativamente impegnarsi nel cambiamento.

Come procede invece l’interazione fra i professionisti della comunicazione e gli attivisti?

 


2020 Global Communication Report “New Activism”, USC Anneberg School for Communication and Journalism

 

È incoraggiante constatare che molti comunicatori considerano gli attivisti quali stakeholders rilevanti e tengono in considerazione la loro reazione quando pianificano nuove campagne o iniziative. In effetti, data la loro sempre crescente influenza, non farlo sarebbe critico.

Ma, nonostante i comunicatori considerino rilevante il loro punto di vista, il 58% afferma che che raramente o mai coinvolge gruppi di attivisti quando crea una nuova policy. Addirittura, meno del 3% li coinvolge in maniera significativa. Di certo questa è un’occasione di mancata collaborazione, forse legata ad una reticenza basata su percezioni ormai superate della figura degli attivisti.

Invece, la collaborazione fra brand, comunicatori e attivisti è senz’altro una via da esplorare. Infatti, il 64% dei comunicatori che si impegna proattivamente con gli attivisti afferma che le loro aziende di riferimento ne traggono beneficio. Non solo, gli attivisti sono anche molto propensi a collaborare con la business community: più dell’80% pensa che la relazione possa portare benefici.

 


2020 Global Communication Report “New Activism”, USC Anneberg School for Communication and Journalism

 

 

Nel prossimo futuro, molti fra i comunicatori aziendali, specie extra Usa, prevedono di lavorare a più stretto contatto con gli attivisti. Chiaramente, se business e attivismo lavorassero insieme uniti verso un purpose comune, davvero la collettività ne trarrebbe grandi vantaggi. Sottolinea il Report che il livello di collaborazione sarà variabile, in funzione della natura dei gruppi di attivisti. Le risposte alla domanda “which of the following activist groups would your company or clients be willing to partner with?” stilano una sorta di classifica dei “best partners”. In Top 3 troviamo: World Wildlife Fund, March for Climate e Humane Society.

Si apre quindi una nuova stagione per le aziende e per i comunicatori e attenzione, non solo rispetto alle problematiche sociali legate al proprio business.

 


2020 Global Communication Report “New Activism”, USC Anneberg School for Communication and Journalism

categorie: opinioni e attualità