Finanza e diritto...a parole

Comunicare è bene, chiedersi a chi è meglio

Il momento di ideazione di un contenuto, identificabile come “fase preliminare” del processo comunicativo che, passando per la creazione, si conclude con l’effettiva trasmissione del messaggio, è lo stadio in cui il comunicatore è chiamato a porsi una serie di interrogativi. Si tratta di domande chiave funzionali a stimolare la riflessione per ottimizzare non solo i contenuti ma anche le modalità della loro trasmissione. In particolare, vorremmo in questa sede analizzare la domanda “a chi ci rivolgiamo”?

 

Anche in ambito di comunicazione legale, avere ben chiaro il target della propria comunicazione è fondamentale sotto due punti di vista. In primo luogo, è una consapevolezza in grado di mantenere il timone orientato agli effettivi bisogni informativi dei propri interlocutori: comunicare a vuoto non interessa a nessuno, l’obiettivo è essere ascoltati. In secondo luogo, è la condizione preliminare per innescare un ragionamento funzionale alla scelta della migliore modalità di trasmissione del messaggio: anche il miglior contenuto del mondo diventa disfunzionale se non trasferito nel modo più efficace.

 

Di uno stesso contenuto, infatti, sono molteplici gli aspetti, gli storyangle che è possibile raccontare. Poniamo ad esempio il caso di una pronuncia giurisprudenziale, classicamente oggetto di comunicazione da parte degli studi legali. Solitamente, l’approccio utilizzato è la rilevazione tout court della novità che viene poi comunicata attraverso vari strumenti (oggi principalmente di comunicazione digitale come blog del sito, profilo LinkedIn, newsletter). Ma quante volte tale pronuncia viene affrontata in modo differenziato, traendo le conclusioni utili per ogni target di riferimento? Quante volte viene condotta un’analisi per comprendere quali e quanti attori del mondo legale o notarile o finanziario o imprenditoriale o di consulenza manageriale possono avere interesse alla notizia? E soprattutto, a quali aspetti della notizia possono essere maggiormente interessati? Quanto sarebbe invece più funzionale, per il ricevente, ottenere informazioni calibrate sulle sue effettive necessità informative? Pensateci: in questo modo, la vostra comunicazione sarebbe davvero a servizio del destinatario, catturerebbe maggiormente la sua attenzione in quanto fate voi per lui quel lavoro di deduzione dal generale della pronuncia al particolare delle ricadute della stessa sulla sua attività professionale quotidiana. E, fidatevi, si ricorderà che gli siete stati d’aiuto.

 

Arriviamo dunque al secondo punto: la modalità di trasmissione del messaggio. Qui il ragionamento segue due direttrici strettamente legate: linguaggio e strumento. Il linguaggio utilizzato dovrebbe – o meglio, deve – prendere in considerazione l’interlocutore e la sua capacità di decifrare il linguaggio giuridico. Poniamo il caso di aver effettuato la rielaborazione del contenuto in base ai bisogni informativi di ciascun target interessato sopra proposta. Siamo sicuri che tutti, dall’imprenditore al consulente finanziario, abbiano ben chiaro che “ovvero” significhi “oppure” e non “cioè”? Che due cose siano alternative o equivalenti fa una bella differenza, no? Questo è solo un esempio, citato innumerevoli volte, di quanto il legalese ponga oggettivi ostacoli alla comprensione di un messaggio: la letteratura italiana e straniera è ricca di appassionati appelli all’utilizzo del cosiddetto plain language. Negli Stati Uniti, già nel 2010 il Federal Justice Center metteva a disposizione “a notice checklist and a plain language guide to help attorneys and judges create effective notices and notice plans”. E se di plain language si dibatte in contesti giudiziali, se i contratti iniziano ad essere redatti con tecniche come il legal design, la comunicazione legale potrebbe rappresentare proprio il terreno di sperimentazione e scoperta, una palestra dove ricercare le migliori vie per una effettiva customer centricity. Ed è proprio la ricerca della customer centricity che ci fa porre una ulteriore domanda: l’avvocato che “scrolla” le news su LinkedIn, ha la stessa attitudine e predisposizione di quando fa una ricerca su Dejure? Su un social network il linguaggio proposto deve adeguarsi alla piattaforma proprio per questo motivo: perché è diversa la predisposizione dell’utente nell’utilizzo dello strumento.

 

Ecco la portata rivoluzionaria della semplicissima domanda “a chi ci rivolgiamo?”. E la rivoluzione è in atto, i segnali ormai sono molteplici. Studiare una strategia di comunicazione che tenga conto di questi aspetti è dunque fondamentale. In un mondo ormai completamente “customer centric”, chi non si adegua è perduto.

 

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Questo era l’ultimo numero di “Finanza e diritto…a parole” , la rubrica di Barabino & Partners Legal ospitata sulle pagine di MAG, il magazine di Legalcommunity. 

categorie: opinioni e attualità