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L’Italia alla seconda ondata pandemica: un dialogo su società ed economia

Riprende il ciclo di conferenze organizzate da Muzinich & Co. con l’obiettivo di fornire spunti di riflessione per orientarsi meglio rispetto ai risvolti economici dell’emergenza covid 19. Il tema del webinar di oggi è: “L’Italia alla seconda ondata pandemica: un dialogo su società ed economia”.

 

Torna quale ospite del dibattito Ferruccio de Bortoli, una fra le più autorevoli firme del giornalismo italiano, già direttore del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore e già coinvolto nell’appuntamento di maggio dedicato all’analisi di dl Rilancio, MES e Recovery Fund. Partecipano Fabrizio Pagani, già capo della segreteria tecnica del MEF e ora Global Head of Economics and Capital Market Strategy di Muzinich & Co., e Domenico Del Borrello, Country Manager Italia di Muzinich.

 

Qui il link al podcast con la registrazione integrale della sessione, la password da inserire è: AFT^Zy^8

 

Il “nuovo lockdown” fra effetti sociali ed economici

 

Le due fasi emergenziali sono profondamente diverse in una cosa, rileva de Bortoli: “nella fase 1, quando è stato annunciato il primo lockdown, è stato facile far prevalere la salute ma adesso non è più così. Oggi ci troviamo di fronte governatori che temono l’effetto negativo sul consenso di un’eventuale decisione. C’è una diversa valutazione del rapporto fra salute e lavoro. La salute contava di più nella prima fase e adesso di meno. Si accetta un maggior grado di rischio quando si è consapevoli di perdere la propria attività”. Non sono solo economiche le conseguenze della pandemia, sottolinea de Bortoli: “ci sono degli effetti permanenti psicofisici specialmente sui ragazzi che difficilmente sono risolvibili”. Ma la grande domanda, prosegue de Bortoli, è “pazienza o rassegnazione?” Se è vero che gli italiani si sono dimostrati pazienti e hanno dato prova di perseveranza e combattività, soprattutto nei settori che hanno mantenuto costante l’attività durante la fase 1, e che disordini e manifestazioni violente sono nel complesso stati limitati, i cittadini italiani sono come sospesi in un limbo, trovandosi a sopportare costi collaterali di tipo sociale che nella prima fase erano stati sottostimati.

 

Dal punto di vista economico, la situazione presenta alcune criticità. Come afferma Pagani, “il rimbalzo è stato poderoso dal trimestre precedente”; “se compariamo il terzo trimestre di quest’anno con quello dell’anno scorso, comunque c’è un 4% in meno. Questo è un anno di profondissima recessione: il Governo prevede un -9% del PIL e per i mesi di novembre e dicembre sono prevedibili grosse restrizioni economiche”. “Abbiamo dal mese di luglio un’inflazione sotto lo 0 che sta aumentando”, ricorda Pagani, “e il termine deflazione potrebbe essere il termine di moda nei prossimi mesi. Questo ha delle conseguenze molto importanti e non positive sul risparmio. Sulle prospettive del PIL per prossimo anno, il governo prevede un rimbalzo del 6%”, prosegue, ma la verità è che “navighiamo un po’ nel buio: il mercato del lavoro e il mercato del credito sono praticamente sospesi e questo non permette di fare previsioni”.

 

 

BCE, PEPP: la sostenibilità del debito italiano

 

La gestione dell’emergenza italiana ha lasciato e lascia grandi perplessità. “L’errore che abbiamo compiuto è stato credere che con la prima ondata il peggio fosse passato. In questi mesi abbiamo destinato 8 miliardi alla sanità pubblica, di cui soltanto 2 sono stati spesi veramente”, osserva de Bortoli. Un’organizzazione strategica e strutturata delle differenti possibilità di spesa non è stata fatta e, prosegue de Bortoli, “abbiamo dimostrato di non essere capaci di spendere i soldi”. In un tale contesto, in cui la leadership italiana pecca in quella che de Bortoli ha definito “la vanità del potere”, occorre chiedersi come utilizzare efficacemente i fondi europei.

L’Italia nello scorso agosto aveva un debito pubblico di 2578 miliardi di euro, non considerando i 120 miliardi recovery plan né i 37 miliardi MES sanitario. Ma, sostiene Pagani, questo debito è sostenibile poiché “la risposta delle autorità monetaria alla crisi Covid è stata tempestiva ed efficace. Il PEPP (Programma d’acquisto per l’emergenza pandemica avviato a marzo) ha portato una pressione costante e continua sul rendimento dei nostri titoli di Stato; ragion per cui questi ultimi non hanno avuto tensioni particolari in questi mesi”. Ma ciò che conta per le sorti del debito italiano è capire cosa succederà nel prossimo futuro. “La BCE ha deciso che il programma arriverà a giugno 2021. Se sarà così, vedremo forse già delle prime tensioni sui titoli. Tuttavia, la Banca Centrale ha fatto capire in maniera esplicita che il PEPP sarà esteso e gli acquisti continueranno in maniera massiccia non solo per tutto il 2021, ma anche per il 2022”. Il debito italiano al momento è previsto al 158% per il 2020 e Pagani non vede una riduzione possibile, nonostante le affermazioni del Governo: “dobbiamo convivere con questo elemento di debito nei prossimi anni, la crisi attuale modifica la visione che abbiamo del debito”.

 

MES E RECOVERY FUND

 

Altra questione calda, il ricorso al MES. “A me non è chiaro perché il governo non ha fatto ricorso al MES”, afferma Pagani. Soprattutto in considerazione del fatto che avrebbe permesso un risparmio di 300 milioni l’anno.

Inoltre, rileva, è lo strumento che permetterebbe una riforma organica in quanto obbliga ad avere un piano di riforma anti-pandemico. “Dobbiamo accedere a tutti i finanziamenti europei nella misura più ampia possibile” esorta Pagani, “essere indebitati con l’Europa è meno costoso che essere indebitati con il mercato. In questo modo aiutiamo i rapporti fiscali con l’Europa. Uscire da questa crisi con un debito nei confronti del sistema europeo e non del mercato è un punto importante che può avere molte implicazioni”.

Una posizione condivisa da de Bortoli che rileva come il mercato terrà senza dubbio conto del comportamento debitorio dell’Italia e che “prima o poi potrebbe anche lasciarci, specialmente se non sappiamo investire nel modo migliore i soldi presi dai sussidi”.

Il Recovery Fund, in questa ottica della proficua gestione degli investimenti, è senza dubbio una grossa opportunità, penalizzata purtroppo dalla impreparazione della pubblica amministrazione italiana a gestire una programmazione finanziaria specifica. Dunque, come sintetizza de Bortoli, “Ci stiamo giocando la possibilità di utilizzare questi fondi per riattivare e salvare nostra economia”. “È una sfida grossa e per l’Italia complicata”, fa seguito Pagani, “l’Europa richiede per elargire i fondi una progettualità molto avanzata”.

Da attenzionare il fatto che Recovery Fund significa progetti, investimenti, ma anche riforme. “Non ho capito perché il Governo ha parlato solo di investimenti fino ad ora”, rimarca Pagani. “L’Unione ha indicato che i soldi devono essere impegnati per affrontare nodi strutturali i che paesi non sono riusciti a risolvere negli ultimi anni come digitalizzazione o economia verde ma, forse, anche una riforma del mercato lavoro o dell’istruzione o lavorare ad un maggiore accesso delle donne al mercato lavoro sarebbero questioni importanti da affrontare”. Un aspetto poco evidente nell’attuale dibattito relativo al Recovery Fund è anche il fatto che lo strumento andrebbe utilizzato come catalizzatore, come leva di investimento che attiri l’iniziativa privata: “spero in strumenti come partnership pubblico-privato perché si generi questo effetto moltiplicatore”, sottolinea Pagani.

 

 

Un futuro da scrivere

 

“Noi abbiamo bisogno di fiducia e speranza, non possiamo trovarli nel dpcm” afferma de Bortoli. La leadership d’indirizzo è quindi fondamentale in questa stagione. Un governo tecnico risulta per de Bortoli improbabile perché “la digeribilità politica di un governo tecnico è troppo bassa”.

Dal punto di vista scientifico, sorprende come il rating S&P del debito italiano sia migliorato quando due anni fa, in condizioni senza dubbio migliori, scendeva. Un’evidenza che è espressione di un dibattito intellettuale in corso, rileva Pagani, su cui è difficile esprimersi ma “la risposta è che tutto dipende dalle Banche Centrali: se non abbiamo inflazione e, come sembra, entriamo in deflazione sostenuta e di lungo periodo è difficile che banche centrale possano cambiare orientamento e alzare i tassi. Al momento sono impegnate in strategic review e sono allo studio di nuovi strumenti di politica monetaria. C’è un grande spazio a nuove interpretazioni concettuali di politica economica e macroeconomia”.

 

categorie: opinioni e attualità