Finanza e Diritto...a parole

L’immagine degli avvocati e la resistenza dei cliché

Per la nostra rubrica “Finanza e Diritto…a parole” su MAG di Legalcommunity, un crossover fra comunicazione legale e comunicazione visiva. che esplora i meccanismi “responsabili” della persistenza di certe immagini nel sentire comune anche se non del tutto corrispondenti alla realtà della professione legale. 

 

 

Si dice che l’immaginario del mondo legale fatto di martelletti, toghe, codici e fascicoli non è più rispondente alla realtà del settore professionale di oggi. La legal community attuale è in effetti differente rispetto a quella di solo 20 anni fa. Digitalizzazione, una nuova consapevolezza e lettura del mercato hanno portato le law firm attuali in un’altra dimensione, è indubbio. Eppure, di quell’immaginario non ci si riesce a liberare ed è ancora qui che governa la rappresentazione della professione legale agli occhi della società nel suo insieme.

 

Perché comunicare attraverso l’immagine ha una forza particolare? In che modo l’iconografia legale è diventata luogo comune, assumendo significati condivisi? Cambiarli è possibile?

 

Partiamo dal presupposto che la professione legale è un concetto complesso. Quindi, com’è possibile che concetti complessi, molto spesso conosciuti davvero solo da un ristretto numero di persone, entrano nel sentire comune assumendo un significato condiviso per tutti? Proprio questa domanda si pose l’équipe di Moscovici, fra i più autorevoli esponenti della corrente di psicologia sociale. Per rispondere, fu avviato un esperimento su larga scala, scegliendo di analizzare il concetto della psicoanalisi. Analizzarono la stampa generalista di diversi orientamenti politici scoprendo così i due processi che, combinati, portano alla semplificazione e quindi alla comprensione e all’appropriarsi di un tema complesso.

 

Il primo è quello dell’ancoraggio che porta le persone a servirsi di concetti già noti per spiegare qualcosa di nuovo. Così la psicoanalisi diventa ad esempio “confessione laica”. Il secondo, per noi più interessante, è il processo dell’oggettivazione.

 

L’oggettivazione è quel naturale meccanismo tale per cui vengono eletti dei simboli, delle icone che portano con sé il significato del concetto. Il famoso lettino di Freud. Ma anche la toga, il martelletto, i faldoni. Questo succede, ed è qui che sta, fra l’altro, la forza di uno storytelling ben concepito, perché l’immagine ha in vantaggio di essere immediatamente comprensibile rendendo quindi la decodifica più semplice e univoca.

 

Un esempio è la nostra recente esperienza: solo un anno fa, nel febbraio 2020, non tutta Italia, vedendo un cerchio blu dai raggi rachitici, avrebbe immediatamente compreso “Covid-19” né avrebbe associato a quell’immagine una uniforme palette di preoccupazioni o regole di comportamento. Da tenere in considerazione che il processo di oggettivazione è di solito più lungo di quello che abbiamo sperimentato in una situazione d’urgenza legata all’emergenza sanitaria.

 

Facciamo ancora un esempio, più intrigante. Durante la prima fase pandemica, alcuni consolidati processi di oggettivazione (i.e. alcune immagini) sono stati utilizzati per trasmettere il messaggio del social distancing. In altre parole, alcuni brand fra cui McDonald, Audi o Wolswagen hanno promosso campagne adv aventi ad oggetto il proprio logo un po’…diverso.

 

logo mcdonald e audi distanziamento sociale

 

Comunicare il messaggio del social distancing attraverso una campagna del genere è possibile solo e unicamente nella misura in cui l’associazione fra significato e immagine è talmente forte che la modifica di quest’ultima è in grado di trasmettere un messaggio. Perché comunicare attraverso immagini ha una forza particolare? Mettiamola così: chi ricorderete di più, McDonald, Audi o quei papiri in sovrimpressione all’inizio e alla fine di ogni intervallo pubblicitario in tv?

 

Quindi, se si è in grado di creare un’associazione forte tra un significato e un’immagine, alla lunga l’immagine sarà autonoma nella comunicazione di quel significato. Continuerà a trasmetterlo nel tempo e questo ci porta all’eventualità che come succede per bilancia e martelletto, l’immagine non è più rappresentativa del concetto reale. Allo stesso modo per cui spesso i quadri normativi risultano anacronistici rispetto alle fattispecie concrete che regolano, quel concetto che l’immagine rappresenta evolve, si modifica e non calza più sulla nuova realtà.

 

Il processo di oggettivazione, una volta compiuto, rischia di essere difficilmente sradicabile o molto memorabile, cosa positiva o negativa a seconda di contingenza e punti di vista. Per questo, è opportuno presidiarlo con costanza nella sua evoluzione, per mantenere l’immagine al passo rispetto alla realtà che raffigura ed evitare corti-circuiti.

 

 

categorie: opinioni e attualità