Finanza e diritto...a parole

L’IVA, la giustizia, la legge

Per questo numero della rubrica “Finanza e Diritto…a parole” su MAG di Legalcommunity, alcune pagine dal diario del dott. Otto D., funzionario del dipartimento di Non So Cosa, dello Stato di Nessun Luogo

 

Eh, caro diario, stiamo proprio arrivando alla fine dei giochi, sembrerebbe. Ci avresti mai creduto? Io no, francamente. L’uomo è uno strano essere, soprattutto dalla memoria corta. Il che meraviglia, vista l’ossessione che ha per conservare il passato in teche nei musei. Ora, io dico, è mai possibile che non si ricordi di quel momento in cui ha scelto di riporre la sua fiducia nella ragione, consentendo alla nascita dello Stato? Che vuoi saperne tu, inanimato amico mio, dei meandri dell’animo umano. Qualcosa di certo oramai avrai imparato, visti tutti i miei racconti in quest’ultimo periodo. E credevo che qualcosa avrei imparato anche io. Nel senso, uno dei motivi per i quali ti scrivo è proprio perché mi sembra che la realtà sia più chiara, una volta messa nero su bianco e una volta dato un ordine a pensieri e considerazioni. Invece, di questi tempi, mi pare proprio che tutto sia più confuso di prima e questa faccenda del patto sociale, del mutuo rispetto, non so, mi sembra sempre più un’utopia.

Questa mattina, in ufficio, Sandro mi raccontava tutto preoccupato del fatto che sua cugina, durante il video-pranzo della domenica, aveva deciso che se le cose non si fossero rimesse in sesto, lei l’IVA non l’avrebbe versata. Sennò, diceva, con quali soldi pago i miei dipendenti? E Sandro giù a pregarla di pagare, che l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, nel suo caso, sarebbe stato penalmente rilevante visto che pari ad euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta. Ma lei niente, continuava a ripetere che era in crisi di liquidità e che non aveva soldi non certo per sua responsabilità ma perché c’era questa maledetta situazione che le rendeva impossibile comportarsi altrimenti. Un cane che si morde la coda, aggiungeva, i miei debitori non saldano perché, a loro volta, i loro debitori non saldano. E non ci credo che non ci sia una dannata regola in quel marasma di codici che tieni così in bella mostra nel tuo ufficio che non dica che ho ragione. Aveva concluso battagliera.

Sandro, con il pranzo ancora sullo stomaco, era subito andato a controllare. E quello che aveva trovato lo aveva alquanto interdetto. In primo luogo, ma questo succede spesso anche se può sembrare strano a chi non è del settore, i giudici di merito (cioè quelli dei primi gradi di giudizio, quelli che devono accertare l’accaduto) avevano una visione diversa rispetto al giudice di legittimità (la Cassazione, nel nostro caso). Infatti, i primi ammettevano che la crisi di liquidità potesse giustificare la violazione dell’obbligo di versamento delle ritenute, con specifico riguardo all’omesso versamento dell’IVA, e molte pronunzie escludevano, in generale, la punibilità del reato quando manchino le risorse necessarie per ottemperare all’obbligo di versamento. Invece, la Corte di Cassazione, adottava un atteggiamento più restrittivo e rigoroso, affermando quale regola generale che la crisi di liquidità non potesse giustificare la violazione penalmente rilevante, salvo che il contribuente non avesse fornito la prova che tale crisi fosse inevitabile e, comunque, che non sia dipesa dalla sua volontà.

Se in effetti Sandro non poteva che concordare con il rigido criterio della Suprema Corte, che voleva senz’altro circoscrivere quanto più possibile la causa di non punibilità, d’altro canto gli riveniva agli occhi l’espressione esasperata sul viso della cugina. Era questo che gli dava da pensare, mi aveva confidato. Perché, se è vero che lo Stato difende i nostri diritti e, attraverso questi, il benessere della collettività, non avrebbe dovuto riconoscere, aiutando piuttosto che condannando, la situazione della cugina? Al che io, caro diario, gli ho fatto notare che sarebbe bastato, nell’eventualità in cui effettivamente si sarebbe arrivati a processo, che sua cugina provasse, appunto, che la crisi fosse inevitabile e non dipendente dalla sua volontà. A quel punto Sandro mi lanciato uno strano sguardo esclamando: ah! Come ti invidio, amico mio, che credi ancora così tanto nelle eccezioni alle regole. Te l’immagini, lo Stato che dice sì, resterai impunito nonostante tu non abbia pagato le tasse? Sarebbe l’inizio della fine. È sempre così. Le eccezioni restano eccezioni finché servono d’esempio nelle aule universitarie, ma se cominciano ad esistere, numerose o addirittura calate dall’alto, allora puoi contarci che diventano regole, prima o poi.

E in effetti, Sandro aveva letto che, sebbene si potesse in teoria invocare l’articolo 45 del codice penale, caso fortuito e forza maggiore restavano, per l’appunto, eccezioni. Non sto qui a trascriverti tutto il ragionamento, caro diario, anche perché capiresti ben poco. Però, due cose te le voglio dire, voglio ricordarle. La prima: la giurisprudenza esclude la forza maggiore tutte le volte in cui l’imprenditore abbia deciso di utilizzare il proprio patrimonio per perseguire tali emergenze. Cioè il reato esisterebbe se, come nel caso della cugina di Sandro, il soggetto abbia avuto un margine di scelta e abbia volutamente scelto di non pagare la tassa, anche se per adempiere ad altre non meno urgenti obbligazioni. La seconda, che spiega la rassegnazione di Sandro alla mia osservazione, riguarda l’onere della prova. Davvero oneroso, visto che arriva persino a chiedere, in qualche pronuncia, di provare che la crisi deve aver impedito l’assolvimento dell’«obbligo di accantonamento delle somme», un obbligo che non figura in nessuna legge, mentre nella nostra Costituzione figurano sì una riserva di legge in materia penale e una riserva di legge in materia tributaria.

categorie: opinioni e attualità