Informazione e Conoscenza: un binomio non sempre consequenziale

Lavorare nel mondo della comunicazione significa, in senso molto ampio, far parte del delicato ecosistema attraverso il quale viaggia un’informazione che, dal mittente, raggiunge il destinatario.

I mezzi di comunicazione di volta in volta ritenuti adatti a tale scopo, che nel tempo sono aumentati, vengono accuratamente scelti in funzione delle caratteristiche del mittente e del destinatario. La disruption tecnologica ne ha introdotti di nuovi, ampliando il ventaglio di scelta, ma soprattutto democratizzando quel delicato ecosistema di cui sopra.

Soffermiamoci però alla fine del viaggio dell’informazione, al momento in cui essa raggiunge il destinatario. Immaginiamoci dopo aver letto un articolo sul Corriere della Sera o dopo aver visto una puntata di Superquark. Abbiamo imparato qualcosa, giusto? La nostra conoscenza aumenta.

Invece, intervengono “confirmation bias” e “illusione della Conoscenza”, facendo sì che l’equazione

+ informazione = + conoscenza

non si risolva poi in modo così lineare.

Sono ormai lontani i tempi dell’incondizionata fiducia nella razionalità umana, finanche economia e finanza hanno ormai accettato il superamento del modello dell’agente economico razionale. L’era della post verità in cui viviamo ci costringe ad una riflessione sul pensiero debole dell’uomo moderno in quanto destinatario dell’informazione, strumento di conoscenza.

Non si può allora prescindere dal considerare fondamentale la soggettività del destinatario, del suo credo e delle sue convinzioni, talmente forte da non essere intaccata dalle evidenze contrarie. Nel 2017 la giornalista del New Yorker Elizabeth Kolbert scriveva “Why facts don’t change our minds?”, un articolo in cui riportava vari esperimenti a sostegno del fenomeno del confirmation bias, ovvero di quella particolare attitudine del cervello umano a trattenere soltanto le informazioni a sostegno delle proprie preesistenti convinzioni e a ignorare quelle avverse. Magari il motivo per cui non pare che i più si accorgano del decremento degli sbarchi di migranti?

Fenomeno tanto più insidioso se accostato a quello che Steven Sloman e Philip Fernbach della Colorado University chiamano “Illusione della conoscenza”. Sloman e Fernbach declinano il cognitivismo alla luce della natura sociale umana, arrivando alla conclusione che il genere umano prospera perché vive in una comunità ricca di conoscenza e ciò consente ai singoli di supporre di sapere più di quanto effettivamente sappiano. Un esempio: tutti siamo convinti di sapere come funziona lo sciacquone della toilette: premendo il pulsante. Ma, in effetti, in pochi sanno che cosa succede, a livello meccanico, perché l’acqua possa scorrere nel water. Il fatto che alla domanda “come funziona lo sciacquone” la risposta media sia “premendo il pulsante” potrebbe dimostrare, oltre la teoria dell’illusione della conoscenza, la naturale propensione dell’uomo ad incamerare solo le informazioni per lui utili. È innegabile infatti che nella quotidianità, l’informazione di cui abbiamo bisogno sia premere il pulsante, ma la conoscenza reale del funzionamento dello sciacquone è l’idraulico a detenerla.

Illusione della conoscenza e bias di conferma sono solo alcuni fenomeni che intervengono nell’acquisizione della conoscenza. Senza dimenticare poi il delicato tema dell’attenzione, ormai l’unica vera moneta nel mondo della comunicazione. Per chi opera in questo settore, dunque, è fondamentale conoscerne l’esistenza e le implicazioni così da poter, nella propria quotidianità lavorativa, elaborare le strategie di comunicazione alla luce di questi fenomeni.


La presente riflessione nasce dalla lezione tenuta da Daniele Manca, Vice Direttore del Corriere della Sera, in seno al programma di formazione interna riservato ai consulenti di Barabino & Partners.

categorie: opinioni e attualità