Finanza e diritto...a parole

La Costituzione: sceneggiatura di equità e uguaglianza

Come direbbe in The Libertine Johnny Depp, nei panni del Conte di Rochester, “la vita si svolge ovunque arbitrariamente, faccio questo e non ha alcuna conseguenza se faccio il contrario”. Ma, prosegue, c’è un luogo in cui questa amara verità non esiste: il teatro. “Sul palcoscenico, ogni azione, buona o cattiva, ha le sue conseguenze. Lascia cadere un fazzoletto e tornerà per ucciderti”.

C’è un altro palcoscenico in cui le parole del Conte di Rochester riacquistano tutta la loro potenza. Il mondo del diritto. Che, in fondo, non è altro se non la più grande e, per quanto possibile, precisa rappresentazione del reale. Un mondo in cui il trascorrere del tempo ha conseguenze specifiche, un mondo in cui un’azione può precluderne un’altra. Un mondo il cui viene valutata la razionalità e la consequenzialità dei comportamenti posti in essere. Un mondo per certi versi spiazzante quanto alla sua capacità di chiarire, grazie alla parola dell’interprete delle leggi, la complessità del reale.

Come in teatro è la sceneggiatura che governa la rappresentazione, nel mondo del diritto sono le leggi. O, per meglio dire, tutte quelle indicazioni di comportamento più o meno chiare che zampillano a flusso costante dalle più diverse fonti sovranazionali, nazionali e locali. Molto si discute e si è discusso delle difficoltà non solo interpretative ma anche di intervento da parte del legislatore data questa complessa stratificazione.

Ma c’è una sceneggiatura dalla quale nessuno in questo Paese può discostarsi: la nostra Carta Costituzionale. Se nel mondo è possibile che azioni e reazioni non seguano criteri razionali e che vada bene così (anzi, che vada meglio così), il giudice delle leggi è chiamato a difendere quella razionalità che è la più alta garanzia di equità e uguaglianza. La più alta garanzia di una trama e di un’azione basata sull’onestà intellettuale. Onestà intellettuale che più spesso dovrebbe calcare le scene, invece resta sempre più spesso come in croce, tendendo quel verme a quel cielo lontano e il suo nido è nell’ombra, che attende, che pigola sempre più piano. Se il 10 Agosto può ancora sembrare lontano, il 9 luglio la Corte Costituzionale è intervenuta proprio per salvare quel piccolo verme, che in realtà è un vitale pasto per noi rondinini nel nido italiano.

La Corte si è pronunciata sul “Decreto sicurezza”. Incostituzionale non per contrasto con l’art. 77 della Costituzione sui requisiti di necessità e urgenza dei decreti-legge anche se il tema dell’amministrare per legge in barba al principio di separazione dei poteri che si pone in questi casi non è irrilevante[1]. Incostituzionale in violazione dell’art. 3 per un duplice profilo di irrazionalità: intrinseca e di trattamento. Concentriamoci qui sul primo profilo, l’irrazionalità intrinseca.

Per una norma, essere censurata per irrazionalità intrinseca significa essere “evidentemente priva…di intellegibilità e coerenza” (Corte Cost. 19/06/2019, n. 151). Non succede spesso che il giudice delle leggi adotti metafore narrative per spiegare concetti di diritto. Lo ha fatto per l’irrazionalità intrinseca. Nel 1982 la Corte proponeva un’immagine particolarmente efficace per rendere inequivocabile il concetto: nel dispregio del valore della coerenza fra le parti dell’ordinamento giuridico, le norme che ne fanno parte “degradano al livello di gregge privo di pastore” (Corte Cost. 30/10/1982 n.204). Quante norme vagano ad oggi senza pastore? Perché, siamo onesti, se il pastore è evidentemente privo di intellegibilità e coerenza nel condurre il proprio gregge, averlo o non averlo che differenza fa? “Canone di coerenza che nel campo delle norme di diritto è espressione del principio di uguaglianza di trattamento fra eguali pozioni sancito dall’articolo 3” concludeva la Corte.

Costituzione italiana testo articolo 3 uguaglianza

 

Scrivere, per via interpretativa, così a chiare lettere nella “sceneggiatura” costituzionale che mancare di razionalità significa violare il principio di uguaglianza non è solo risolvere la questione della preclusione dell’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo. È ricordare alla popolazione intera che non è vero che fare una cosa (perseguire finalità di controllo del territorio) o il suo contrario (precludere l’iscrizione anagrafica) è indifferente. È difendere un modello d’azione che presuppone che un atto normativo sia comprensibile mediante la facoltà dell’intelletto e che sia coerente con l’ordinamento in cui si inserisce. Perché se usiamo la testa, allora sì che siamo tutti uguali.

 

[1]Un rebus chiamato legge-provvedimento” da “Finanza e Diritto…a parole” in Mag n. 132 del 16.12.2019

 

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Questo era il quarantesimo appuntamento con la rubrica “Finanza e diritto…a parole”, pubblicata sull’ultimo numero di MAG di Legalcommunity prima della pausa estiva. Al momento della redazione del testo, era da poco stato emesso il comunicato stampa che rendeva pubbliche le motivazioni di censura della disposizione che preclude l’iscrizione anagrafica degli stranieri richiedenti asilo, introdotta con il primo “Decreto sicurezza”. Il 31 luglio è stata depositata la sentenza, consultabile qui

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