I social network sono probabilmente uno dei fattori che più di ogni altro hanno avuto impatti significativi sulla realtà che viviamo, business ed economia inclusi. L’avvento di Facebook, Twitter, Instagram o LinkedIn ha mutato dinamiche delle relazioni sociali e, di conseguenza, anche le logiche della comunicazione d’impresa.
Tuttavia, dei punti fermi sono rimasti immutati, perché la comunicazione d’impresa – nel suo profondo – è appunto l’impresa che costruisce un flusso di relazione trasparente, di valore, solido, con i propri stakeholder di riferimento. Questo concetto diventa ancora più fondamentale nelle situazioni di crisi, dove la reputazione dell’azienda è a rischio proprio in relazione a quei pubblici con cui l’azienda parla costantemente.
Com’è cambiata la forma della comunicazione di crisi: il peso specifico dei social network
Partiamo dagli aspetti del crisis management che l’arrivo dei social ha effettivamente trasformato.
In primo luogo, sono cambiate le fonti dalle quali può partire una determinata crisi o espandersi. Social network come Facebook e Twitter hanno moltiplicato le situazioni di dialogo con le proprie audience, in cui si può generare una crisi reputazionale più o meno seria
Oggi una crisi può essere causata anche da un commento, o da un copy poco felice. E i social, per i commenti e i cosiddetti epic fail, sono terreno estremamente fertile. Fino a 20 anni fa una crisi poteva essere scatenata da un incidente collegato a un’azienda, da una causa giudiziaria, da un articolo ad alta visibilità riportato dai media legato a un problema più o meno concreto dell’azienda. Ora, invece, basta l’espressione sbagliata, nel commento sbagliato, del post sbagliato e il finimondo è assicurato. Soprattutto in relazioni a temi su cui l’opinione pubblica è particolarmente sensibile.
Inoltre, i social sono terreno fertile per l’espansione della crisi. Ecco il secondo aspetto di novità. Oggi le notizie non “girano” solamente sulla carta stampata, bensì anche tramite connessioni satellitari che diventano immagini e parole sugli schermi di qualsiasi device. E se consideriamo che nel mondo sono attivi, secondo le stime, 6,9 miliardi tra pc e cellulari, non è difficile immaginare la spinta che i social abbiano dato in termini di velocità di espansione di certe notizie critiche.
Un altro concetto che i social network hanno mutato profondamente è quello di community. Quando si è uniti da un ideale, non ci si raduna più in piazza, ma su gruppi Facebook. Luoghi virtuali dai quali è più semplice e immediato far partire gesti di protesta: miriadi di commenti che, proprio perché sono più facili da fare, possono causare un danno reputazionale maggiore.
Senza dimenticare che il dibattito sui social è monitorato costantemente anche dagli utenti che non vi prendono parte, con la conseguenza che gli occhi di tutti sono puntati sull’azienda protagonista della crisi.
In questo senso, appare evidente come l’effetto ultimo dei social network sia quello di amplificare al massimo la diffusione della notizia critica. Questo però non deve trarre in inganno. Infatti, nei casi di crisis management, i social devono essere visti come “canale” per raggiungere i propri stakeholder. La prima domanda che un esperto di crisis deve farsi, nel momento in cui scoppia la criticità, è: dato ciò che è accaduto, con chi ho bisogno di comunicare? Chi sono i miei stakeholder prioritari? Una volta individuati questi, allora si sceglie la piattaforma più adatta. In sostanza, non uso Facebook in una crisi se in questa piattaforma non ho modo di comunicare efficacemente con i miei pubblici.
Come si agisce in caso di crisi
Prima si definisce una “narrazione” o “storytelling”: è la posizione dell’azienda, la storia della crisi secondo la società, in cui sono fondamentali elementi di racconto come “il rimedio” che l’azienda metterà in campo per risolvere una determinata criticità. Poi si mapperanno gli stakeholder, indentificando priorità, rilevanza, tono di voce da utilizzare, approccio di comunicazione, strumento di comunicazione, e canale di comunicazione. In questo senso, data una crisis, Facebook deve essere visto come “canale”, il post su Facebook come “strumento”.
In definitiva possiamo dunque dire che se nella forma la comunicazione di crisi appare cambiata dall’avvento dei social media, in sostanza non lo è poi così tanto. Ciò che farà la differenza è la capacità del crisis communication manager di saper individuare sempre il mezzo di comunicazione più adatto a raggiungere un determinato stakeholder, che si tratti di un comunicato stampa, un’intervista in TV o un post su Facebook.
Nicolò Pellegrini
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La rubrica “Parola ai Giovani” è uno spazio dedicato ai comunicatori che in Barabino & Partners muovono i primi passi, grazie al progetto di tirocinio curriculare ed extracurriculare La Cantera. La penna (o meglio, la tastiera) va dunque all’entusiasmo, alla curiosità, alla meraviglia degli occhi di chi si affaccia ad un mestiere delicato e di grande rilievo per la costruzione dell’opinione pubblica. Con l’augurio che qui possano essere raccolti i ricordi dell’inizio di una carriera ricca di soddisfazioni.
categorie: opinioni e attualità