"Finanza e Diritto...a parole"

GOLDEN POWER: dove arriva lo stretto indispensabile?

L’adolescenza. Quella fase della vita magicamente terribile dalla quale tutti siamo passati, in cui abbiamo iniziato a meglio comprendere noi stessi, a testare i nostri limiti e, soprattutto, il limite dell’autorità che i nostri genitori facevano valere nei nostri confronti. Quando abbiamo guadagnato il nostro uscire la sera con gli amici di mezz’ora in mezz’ora finché, finalmente, non c’è stato più bisogno di dire perché uscivamo o dove andavamo. Una fase in cui erano frequenti i litigi legati alla fiducia e alla capacità di giudizio, che per i nostri genitori noi non avevamo praticamente mai.

Una fase in cui il sogno di diventare grandi era disegnato solo da larghe e decise pennellate di entusiasmo e ottimismo che agli occhi dei genitori erano più che altro incoscienza e inesperienza.

Però, siamo diventati grandi. L’esperienza, che ha per certi versi offuscato i toni accesi dell’iniziale quadro del nostro futuro, ci ha reso adulti e consapevoli del nostro essere, delle nostre possibilità e delle nostre potenzialità. Indipendenti da mamma e papà, ormai non ci arrabbiamo (quasi) più se siamo costretti a sorbirci i discorsi paternalistici del pranzo della domenica.

Questa è più o meno la storia di ogni essere umano. Uno schema archetipico che ritroviamo in molte sfaccettature del reale. In particolare, nel rapporto fra Stato e imprese. Uno schema che vale la pena tenere a mente quando, come in questo momento, si viene a discutere di poteri straordinari che lo Stato può esercitare sulla vita delle imprese. In effetti, cos’è il golden power se non il divieto di papà e mamma di lasciare Marco andare a scuola in motorino o di permettere a Giulia di frequentarsi con Simone? Anche Stato e aziende sono persone. Certo, giuridiche, ma non per questo non hanno nel tempo affrontato quel percorso di emancipazione di cui sopra. Così, all’interventismo statale sull’economia, tipico di una fase della vita in cui non si reputano i propri figli in grado di autoamministrarsi, ha fatto seguito la convinzione che sta alla base della modernità economica: uno stato liberale che lascia al mercato la possibilità di autoregolarsi intervenendo solo per lo stretto indispensabile.

Fra queste bare necessities (come canterebbe l’orso Baloo del Libro della Giungla), rientrano le situazioni in cui lo Stato ritiene fondamentale intervenire sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni”, come afferma lo stesso dl 21/2012 che configura il golden power. In virtù di questo potere, è possibile intervenire nelle scelte di vita delle società appartenenti a questi settori, stabilendo specifiche condizioni, ponendo veti all’adozione di determinate delibere societarie o ancora opponendosi alle operazioni di cessione d’azioni. In quest’ultimo caso, tutto ricorda tanto la mamma che non approva il fidanzato di turno…

In ogni caso, la problematica legata al golden power si fa più calda proprio adesso, in cui le bare necessities sono aumentate esponenzialmente a causa dell’emergenza covid. Il Decreto Liquidità infatti, ha allargato l’esercizio del golden power ai settori finanziario, creditizio e assicurativo, alimentare, all’accesso alle informazioni sensibili inclusi i dati personali, alle nano e bio tecnologie, alle infrastrutture e tecnologie critiche funzionali ad energia, trasporti, salute e acqua. Una situazione in cui lo stretto indispensabile esce elegantemente di scena e lascia il posto ad una moltitudine di situazioni tale che, tornando al paragone familiare, i figli sarebbero già in terapia con psicofarmaci annessi.

Non solo. Mamma e papà almeno sono in due, si dividono i compiti e possono confrontarsi spesso al tavolo della cucina. Ma lo Stato è uno (e nessuno e centomila…) e dovrà fare i conti ad esempio con un esponenziale aumento delle notifiche dell’acquisto di partecipazioni finanziarie in tutti i settori riguardati dal decreto legge, visto appunto l’obbligo di notifica che il dl Rilancio ha istituito. E, noi sappiamo, l’amministrazione è tenuta all’obbligo di provvedere.

Che problema c’è, direte voi, tanto vale il silenzio assenso. Bah, intanto c’è un piccolo passaggio logico che sembra poco chiaro proprio in ragione dell’individuazione del silenzio assenso quale via di risposta. Se reputi fondamentale intervenire su un particolare aspetto della mia esistenza, qual è il senso, poi, di concludere dicendo che il tuo silenzio, la tua inerzia, equivale ad un sì? Allora, forse, la tua voce in capitolo non era poi tanto fondamentale.

In secondo luogo, il silenzio assenso, nato come strumento di semplificazione dell’azione amministrativa, aveva già dai suoi albori destato perplessità in una parte della dottrina. Scriveva A.M Sandulli a proposito del silenzio assenso: non ho in questa sede (Foro Amministrativo sett. 94 parte 2 pag. 486) avuto la pretesa di trovare soluzioni a problemi annosi e complessi, ma soltanto la volontà di rappresentare i gravissimi problemi creati dall’inerzia e l’inidoneità delle soluzioni che la trasformano da patologia in tipologia. Una condizione patologica di nome e di fatto la stiamo vivendo adesso. Le parole di Sandulli sono universalmente valide: oggi, tutti i livelli, il rischio di trasformare una patologia in una tipologia è elevato più che mai. Non solo. Una patologia psichiatrica è decisamente più difficoltosa da curare rispetto ad una virale.

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Il consueto appuntamento con la rubrica “Finanza e Diritto…a parole” su MAG di Legalcommunity. La riflessione sull’impatto del golden power sugli equilibri di mercato è tanto più evidente con riferimento alla recentissima nota di Palazzo Chigi che ne annuncia l’esercizio in relazione all’OPA promossa da AGC che ha comportato, quale reazione del mercato, iun abbassamento del 10% del valore delle azioni Molmed. 

 

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