Per l’ottavo numero della rubrica “Finanza e Diritto…a parole” su MAG di Legalcommunity, affrontiamo un istituto giuridico: il trust.
Tutti ricorderete (o forse no, quindi ve la racconto) la scena finale del cartone animato di Walt Disney “La carica dei 101”. Pongo e Peggy, mamma e papà dalmata, dopo essere sfuggiti alla follia di Crudelia De Mon, riportano nel piccolo appartamento londinese dei loro padroni, Anita e Rudy, ben 101 cuccioli. Anita, sopraffatta (emotivamente e fisicamente), chiede come potranno gestire quel gran numero di bestiole, e Rudy, con “disneyano” ottimismo, risponde “che problema c’è, compreremo una grossa villa fuori città e daremo vita ad un allevamento di cani dalmata!”.
Naturalmente, la politica di Walt Disney chiude il racconto prima che si pongano tutte le spinose questioni organizzative per realizzare la grande visione di Rudy.
Ipotizziamo che il grande progetto si sia concretizzato ma che Rudy e Anita, ricchi di cuccioli dalmata, siano giunti alla vecchiaia senza cuccioli d’uomo. Ipotizziamo anche che, da quando la loro avventura da allevatori ha avuto inizio, le cose siano andate piuttosto bene, permettendo ai coniugi di mettere da parte un discreto gruzzolo che hanno reinvestito in un’attività di ristoro per cani randagi. Bianchi i capelli e grinzosi i sorrisi, Rudy e Anita si pongono infine lo spinoso problema: cosa sarà dei nostri cani? Del nostro allevamento? E di tutte quelle bestiole a cui assicuriamo almeno un pasto al giorno? È vero che, con le persone che nel tempo hanno assunto, sono diventati una famiglia e sono certi del fatto che continuerebbero amorevolmente ad occuparsi dei cani. Ciononostante, Rudy sa che nessuno di loro ha l’occhio per i numeri, la dimestichezza di trattare con i fornitori di crocchette, la competenza, insomma, di portare avanti l’attività. In più, Anita vorrebbe che l’allevamento vivesse per sempre.
Cosa fare, dunque? Una vicenda qualche decennio prima aveva fatto scalpore: a Parigi, una certa nobildonna di nome Adelaide Bonfamille, volle lasciare il suo patrimonio ai suoi amatissimi gatti fino alla loro morte, per poi andare al fedele maggiordomo Edgar, non tanto fedele, si scoprì (vedi “Gli Aristogatti”). Rudy e Anita si convincono quindi che è necessario trovare un modo per assicurarsi di dare continuità allo scopo cui hanno votato la propria esistenza, slegandolo non solo dai moti dell’animo umano, ma anche da accadimenti che potrebbero causarne la morte. Riflettono sulla possibilità di confidare l’attività al vicino canile, con cui più volte si erano trovati a collaborare con ottimi risultati. Ma quel canile, fin quando avrebbe funzionato a dovere?
Ne discutono una sera a cena con un amico avvocato, e la soluzione appare chiara: la messa a punto di un trust.
Istituendo un trust, Rudy e Anita potranno trasferire la proprietà dei beni necessari ad un soggetto di loro scelta affinché questo persegua lo scopo di continuare l’attività di allevamento di dalmata e di ristoro per randagi. Il trust è infatti un istituto giuridico che consente al titolare di uno o più beni o diritti (il disponente o settlor) di separarli dal proprio patrimonio e trasferirli ad una persona fisica o giuridica (il trustee) affinché li amministri nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico. La tipologia di trust adatta a Rudy e Anita è, per l’appunto la seconda, il trust di scopo, volendo loro assicurarsi che l’attività creata perduri nel tempo. Se Rudy e Anita avessero avuto un figlio ma questi fosse stato inadeguato a proseguire l’attività (magari per via di una potente allergia al pelo di cane), poteva essere interessante designarlo quale beneficiario. In questo modo il trustee avrebbe amministrato l’attività nell’interesse del figlio, per esempio quello di garantirgli una rendita.
Il desiderio di Anita di sapere che la sua attività perdurerà “per sempre”, ben si sposa con l’effetto del trust. Esso infatti genera la cosiddetta “segregazione” del patrimonio. Dal punto di vista del disponente, questo significa che i beni escono dalla sua sfera di disponibilità ed entrano nella sfera di disponibilità del trustee. Quest’ultimo agirà avendo, sui detti beni, le stesse prerogative che ha il proprietario ma essendo vincolato alla realizzazione dello scopo del trust. Concretamente questo per Rudy e Anita potrebbe ad esempio comportare che il trustee individui come soggetto idoneo a portare avanti l’attività il direttore del canile di cui si diceva prima ma, se dovesse essere sostituito da un uomo favorevole agli esperimenti sugli animali, il vincolo di scopo imporrebbe l’immediato sollevamento dell’incarico. In virtù della segregazione, inoltre, il patrimonio destinato allo scopo, che nel caso di Anita e Rudy consisterà in beni immobili (gli edifici destinati all’allevamento e all’attività di ristoro), mobili (attrezzature), animali e denaro, non può essere aggredito da creditori né del disponente né del trustee. In definitiva, il trustee agirà in qualità di proprietario indirizzando ogni atto di gestione, ordinaria o straordinaria, allo scopo per cui il trust è nato.
Rudy e Anita, in quanto disponenti, hanno inoltre la facoltà di nominare un guardiano, cioè qualcuno che vigili sul comportamento e sull’operato del trustee, in considerazione dello scopo del trust. Possono attribuirgli vari poteri, ad esempio l’obbligo di ottenere la sua autorizzazione per determinati atti di gestione, ed è il soggetto che può agire in giudizio nel caso in cui il trustee non adempia correttamente ai suoi doveri.
Il trust è una figura di diritto anglosassone applicabile in Italia in virtù della ratifica della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, entrata in vigore il 1 gennaio 1992. Ormai entrato a pieno titolo fra le soluzioni normalmente utilizzate in campo successorio, il trust è un istituto giuridico che pare portare con sé grande, per l’appunto, fiducia nel prossimo. Il trustee è infatti colui al quale il disponente sceglie di dare fiducia. Certo, le condizioni e i limiti dell’agire del trustee sono ben definiti nell’atto costitutivo del trust e presidiati dal controllo del guardiano. Inoltre, il trustee è quasi sempre una figura professionale, non il vicino di casa. Ciononostante, è bello pensare che in un’epoca di incertezza e rischio, qualcosa chiamata “trust” si affermi come risposta migliore alla soluzione di un problema.
categorie: finanza , opinioni e attualità