Ritagliarsi un momento lungo mezz’ora per restare in piedi di fronte un’opera d’arte è qualcosa che non siamo più abituati a fare. Va tutto troppo veloce per costringersi a mettere pausa al flow delle nostre giornate.
Forse, questo succede anche perché mantenersi in equilibrio in questo mondo è più facile se si è in movimento. Caravaggio, alla fine del 1500, dipinge una canestra di frutta. La rappresentazione della realtà presenta un grande vantaggio: si può astrarre dal reale e raffigurare l’idea (proprio perché, come avrebbe dipinto Magritte secoli dopo, ceci n’est pas une pipe). L’idea è piena, pesante, chiara in ogni suo particolare, non ha angoli oscuri e le incertezze sono tutte cancellate dalla razionale mano di chi dipinge, ogni pennellata una convinzione, una certezza, una verità su come il reale dovrebbe essere. E nonostante gli storici dicano che l’idealismo tramonti al sorgere delle correnti pittoriche post neoclassiche, se ci si ferma ad osservare meglio, lo si vede ancora oggi, stampato sui menù di McDonald’s o ricercato dai filtri di Instagram. Cosa potrebbe succedere, invece, se ci fosse una sola rappresentazione a cui tutti cercano di omologarsi? Un concetto che forse suona familiare ai giorni nostri, richiamando dibattiti che coinvolgevano la televisione fino a qualche anno fa, i social network adesso. Un concetto che, quando viveva Caravaggio, si chiamava manierismo e può essere riassunto nelle parole del Vasari che, dopo pagine e pagine di estatica descrizione della volta della Cappella Sistina, sentenziava: ringraziate la Provvidenza perché ci ha mandato Michelangelo, e fate come lui.
Caravaggio dipinge una canestra di frutta, la dipinge in un momento in cui bisognava essere tutti come Michelangelo, in un momento in cui era l’idea a dominare la rappresentazione. Usava lavorare in una stanza in penombra, Caravaggio, con un’unica finestrella alta e socchiudeva di più o di meno i battenti per creare una luminosità radente. In questo spazio, come un regista teatrale, collocava i suoi soggetti e di fronte poneva loro uno specchio delle stesse dimensioni del quadro che voleva realizzare, quindi, per dipingere, guardava lo specchio. Metteva in scena la realtà, ma la rappresentava poi come essa stessa si manifestava al mondo, riflessa nello specchio. Ecco cos’è la Canestra: una rappresentazione reale dell’eterno, non come l’avrebbe fatta Michelangelo, né come idealmente a quel tempo si sarebbe usato raffigurare l’eterno. La Canestra non cattura un momento transitorio ma tutti gli stadi della vita della frutta, descrive una vicenda senza fine, la nostra, quella di tutto il genere umano, perennemente in bilico fra luce e ombra, pieno e vuoto, bene e male, vita e morte, alla ricerca di un equilibrio.
Quindi prendiamoci il tempo e lo spazio di rimanere fermi davanti la Canestra, prendiamoci il tempo di interrogarci sui grandi del passato, perché possono darci nuove chiavi di lettura per interpretare il nostro presente.
La Canestra di Caravaggio è stata l’opera oggetto del primo appuntamento in anteprima di Arte Grand Tour, il progetto culturale del gruppo Cose Belle d’Italia, che offre un nuovo format esperienziale di incontri con le opere d’arte.
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