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BAIL IN E BAIL OUT: chi aiuta le banche in difficoltà?

Per il quinto apppuntamento con la rubrica “Finanza e diritto…a parole” a cura di Barabino & Partners Legal su MAG di Legalcommunity.it, si parla di bail in e bail out.  

 

Ci sono dei momenti in cui, prima o poi, capita a tutti, abbiamo bisogno di aiuto. È sempre difficile scegliere a chi chiederlo, però non è possibile farne a meno.

Joseph Campbell ha studiato l’esperienza umana racchiusa nella mitologia e ne ha ricavato uno schema universale: il ciclo dell’eroe. Una lettura della vita universalmente applicabile ad ognuno di noi che ci vede partire da uno status quo, ricevere una chiamata, iniziare un’avventura, attraversare un momento di crisi e poi tornare ad un nuovo status quo, arricchito dall’esperienza vissuta. Durante questo viaggio, l’eroe sistematicamente ha bisogno di aiuto per superare il momento di crisi. Ecco che interviene il personaggio archetipico dell’aiutante che offre all’eroe quello che Campbell chiama “elisir”. L’elisir può manifestarsi sotto molteplici forme: è un consiglio saggio, un indizio, un artefatto materiale che risulterà decisivo per non soccombere alla crisi.

Se riconduciamo questo schema al mondo della finanza e ai suoi abitanti, possiamo affermare che questa verità vale anche per le banche. Le banche vivono anch’esse un ciclo, ricevono una chiamata che le porta ad intraprendere un sentiero, su quel sentiero incontreranno delle difficoltà, avranno bisogno di aiuto per superarle. In questo mondo, l’artefatto magico per eccellenza è il denaro, solo lui è capace di tenere in vita una banca. Ciò che può variare è il personaggio che procura il denaro.

I bambini, solitamente, chiedono aiuto a mamma e papà. Allo stesso modo gli istituti bancari in grave difficoltà finanziaria trovavano nello Stato l’aiuto di cui hanno bisogno e, genitore preoccupato, lo Stato veniva loro incontro mosso dalla preoccupazione di evitare disastrosi effetti a catena che potessero distruggere l’economia del paese.

L’artefatto magico in questo caso è l’operazione bail out: il salvataggio da parte dello Stato di un’istituzione che si trova in stato di insolvenza.

Lo Stato è come la mamma: non sa dire di no. Per questo, nel caso di situazioni di insolvenza dettate da crisi di liquidità, si parla di prestito di ultima istanza, un prestito concesso quando nessun altro è disposto a farlo. Se invece la situazione di insolvenza è tale per cui il valore complessivo delle passività è più alto di quello delle attività, occorre un aiuto più strutturato: l’assistenza finanziaria a carico del bilancio pubblico. Lo Stato effettuerà il bail out attraverso un acquisto di attività o apponendo una garanzia statale sulle passività della banca o ancora attraverso una ricapitalizzazione con cui lo stato diviene azionista.

Si tratta però di un’operazione rischiosa: la letteratura è piena di famiglie rovinate a causa di debiti contratti dai figli. Una per tutti, La baronessa Jeanne Le Perthius, protagonista di Une Vie di Maupassant, perde la sua fortuna per coprire i debiti di gioco del suo Paul. Perché un genitore non bada a spese per aiutare i propri figli, così gli stati fanno il più possibile per mantenere stabile la propria economia. Infatti, dalla crisi del 2008, in Europa e negli Stati Uniti questi interventi sono costati molto cari ai bilanci pubblici.

C’è da dire, però, che mentre negli studi di Campbell l’artefatto rappresentava qualcosa nella piena disponibilità dell’aiutante (come lo scudo lucente donato da Atena a Perseo per decapitare la Medusa evitando il suo sguardo), il denaro nelle casse dello Stato proviene da tutti noi contribuenti e dovrebbe essere finalizzato all’offerta di servizi essenziali ai cittadini.

Per questo motivo, alcuni economisti si sono preoccupati di studiare un meccanismo di salvataggio alternativo. All’aut aut fra collasso e bail out, nel 2010 Paul Calello ex presidente dell’Investment Banking, e Wilson Ervin, vicepresidente del Credit Suisse, hanno individuato una terza via attraverso un meccanismo di salvataggio interno: il bail in.

L’aiutante che dona il magico artefatto, nel bail in, non è più lo stato bensì gli investitori delle banche stesse. La ricapitalizzazione in questo modo avviene internamente sfruttando il capitale privato.

Dal 2016 questo nuovo strumento è in vigore in tutti i paesi dell’eurozona attraverso la direttiva BRRD (Bank Resolution Recovery Directive) sui salvataggi dei grandi gruppi bancari. Secondo questa direttiva, in caso di crisi finanziaria verranno chiamati a contribuire prima gli azionisti, poi gli obbligazionisti e poi i correntisti con depositi superiori ai 100 mila euro.

Altra caratteristica dell’aiutante è la sua consapevolezza del ruolo che ricopre. In questo senso, il Fondo Monetario nel Comunicato conclusivo sull’Italia pubblicato la scorsa settimana ha fatto presente che è necessario ridurre il fenomeno delle obbligazioni subordinate detenute dai piccoli risparmiatori. Sono loro che, in Italia, hanno acquistato fra 2011 e 2012 ben 311 miliardi di bond emessi dalle banche. Entrata in vigore la normativa del bail in, da risparmiatori si sono trovati ad aiutare in prima persona le banche, perdendo i propri risparmi invece che guadagnare gli interessi.

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categorie: finanza , opinioni e attualità